Ultimi giorni per visitare la mostra che documenta i segni impressi dall’uomo sulla Terra con 35 fotografie di grande formato scattate da Edward Burtynsky.
Anthropocene è una mostra fotografica multimediale ospitata al MAST di Bologna, un laboratorio multifunzionale con ampia area espositiva, inaugurato nel 2013. Il termine identifica l’attuale epoca geologica caratterizzata dal profondo impatto lasciato dalla specie umana ed è stato adottato per la prima volta dal biologo Eugene F. Stoermer, poi ripreso da Paul Crutzen Premio Nobel per la chimica nel 1995 per gli studi dei processi fotochimici coinvolgenti l’ozono.
L’allestimento conta più di 30 stampe in grande formato (150×200 cm) e murales (300×600 cm) ad alta risoluzione che riempiono intere pareti favorendo la visione anche dei particolari degli scatti di Edward Burtynsky.
Le immagini esposte nella loro cruda bellezza lasciano senza fiato per le dimensioni di stampa, la definizione del sensore medio formato, le vedute aeree sature di colore che spaziano dal paesaggio, modificato dalla mano dell’uomo, alla rappresentazione artistica con vista nadirale.
Lungo il percorso si possono utilizzare dei tablet da 13″ che permettono d’immergersi nella biocenosi (associazione biologica di differenti specie di piante o animali che vivono in reciproca relazione in un determinato ambiente, ndr) della grande barriera corallina australiana o nei vicoli, nelle case e nelle automobili della super affollata metropoli di Lagos, in Nigeria.
L’app AVARA, ideata per l’esposizione, consente di aumentare i contenuti grafici e si vedono bambini reggere con entrambe le manine il gigantesco display per guardare le immagini in 3D, brevi contributi video e giochi interattivi appositamente pensati per coinvolgere i giovanissimi ai quali stiamo affidando la svolta del cambiamento verso una maggiore sostenibilità, con la consapevolezza di aver lasciato un’impronta, praticamente indelebile, sulla Terra.
Tre programmi in realtà aumentata ricreano lo storico rogo di zanne d’avorio confiscate ordinato dal presidente Kenyatta in Kenya nell’aprile 2016, l’ultimo esemplare maschio di rinoceronte bianco la cui morte nel 2018 in Sudan segnò l’estinzione della specie, il solitario abete Douglas canadese quasi millenario risparmiato da un boscaiolo nel corso di una deforestazione nel 2011.
La mostra include 13 video-installazioni e la possibilità di vedere il docufilm Anthropocene: The Human Epoch co-diretto da Jennifer Baichwal, Nicholas de Pencier ed Edward Burtynsky. La proiezione gratuita dura 80 minuti ed ha specifici orari che potete verificare sul sito del MAST.
Il film amplia l’opera fotografica statica in un video dove sono impiegate riprese subacquee, ad infrarossi, time-lapse ed hyperlapse, con telecamere montate su elicotteri e droni, treni ad alta velocità, veicoli a due ruote. Le varie tecnologie conducono attraverso il cambiamento senza fare prediche o “puntare il dito”, valorizzando una testimonianza in grado di smuovere le coscienze.
Gli esseri umani influenzano il pianeta dall’avvento dell’industrializzazione, circa 250 anni fa. Si movimentano terre, rocce, sedimenti, si perforano le montagne, si sfruttano e s’inquinano i fondali marini, s’immettono polveri altamente velenose nell’aria e si producono materiali come plastica ed altre sostanze ormai entrate nella catena alimentare sotto forma di micro particelle.
Come reagisce un artista a questo fenomeno? I mass-media esaltano lo scempio filmandolo a distanza ravvicinata per amplificare l’effetto shock. Burtynsky, Baichwal e De Pencier compiono il percorso inverso partendo dalla ricerca scientifica dell’Anthropocene Working Group per mettere a fuoco le stesse categorie d’indagine. I tre autori registrano la situazione senza giudicare, contrastando scala e dettaglio nel tentativo di promuovere una conoscenza esperienziale. Il rallentamento dell’azione lascia campo libero allo sguardo dell’osservatore consentendo di stabilire un’opinione personale.
La mostra, visitabile al MAST fino al 5 gennaio 2020, permette di ammirare anche paesaggi naturali ancora incontaminati o comunque non modificati dagli uomini, esempi positivi che dimostrano come non sia tutto perduto.
RIPRODUZIONE RISERVATA – © SHOWTECHIES Stefano Pannucci
Stefano Pannucci è geologo ed appassionato di fotografia. Nel 2017 ha pubblicato il libro Il Cuore dell’Etna.
Fotografie mostra: EDWARD BURTYNSKY – Courtesy Admira Photography, Milan / Nicholas Metivier Gallery, Toronto
Foto percorso museale STEFANO PANNUCCI –
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